MILANO — «Nessun rinvio», aveva promesso il governo. Così, dal 5 marzo
spariranno tutti i «contributi fissi» che gli operatori di telecomunicazioni
mobili impongono ai consumatori quando acquistano una nuova ricarica per il
telefonino. Vale a dire quel «balzello» da 5, 10 o più euro che Tim,
Vodafone, Wind e 3 Italia integrano nel prezzo di ogni singola scheda. La
conferma è arrivata ieri da Andrea Lulli, relatore al decreto legge sulle
liberalizzazioni messo a punto dal ministro per lo Sviluppo, Pierluigi
Bersani. Con un'aggiunta: in Commissione Attività Produttive è stato
presentato dallo stesso Lulli un emendamento che prevede l'azzeramento dei
costi di ricarica anche sulle schede prepagate per servizi televisivi e
internet. Il provvedimento interesserà dunque le smart card vendute da
Mediaset per vedere le partire di calcio e i film sulla tv digitale
terrestre, così come quelle emesse da Telecom Italia per i programmi pay per
view su La7 e attraverso Alice Home Video. Lo stesso trattamento riguarderà
anche i provider internet che offrono connessioni in Rete con carte
prepagate. Diverse saranno però le date di entrata in vigore. Mentre per lo
stop agli extra-costi applicati dagli operatori telefonici è confermata la
scadenza di 30 giorni prevista dal decreto (il 5 marzo, appunto), per le
carte tv e internet si dovrà aspettare i 60 giorni entro i quali il
provvedimento verrà convertito in legge dal Parlamento, cioè entro i primi
giorni di aprile. Per le compagnie di telecomunicazioni l'impatto sarà
tutt'altro che marginale. BastI pensare che nel 2005 erano attive circa 64
milioni di linee telefoniche con carte sim «prepagate» (su un totale di 67
milioni di linee) e il «contributo fisso» per l'acquisto ha assicurato a
Tim, Vodafone, Wind e 3 Italia un introito di 1,714 miliardi di euro. I
conti esatti li ha fatti l'Authority per le Comunicazioni nella sua ultima
indagine: tolti 601 milioni di euro per le commissioni riconosciute ai
rivenditori (tabaccherie e banche che vendono le ricariche nei bancomat), 75
milioni di costi operativi e 93 milioni di ammortamenti, è rimasto in tasca
ai gestori un profitto netto di 945 milioni di euro. Un guadagno facile
facile. E molto gradito agli azionisti: basta pensare che nel 2004, ultimo
anno prima della fusione in Telecom Italia, il «balzello» sulle carte
prepagate ha contribuito per quasi il 10% agli utili di Tim. «Le
motivazione portate dagli operatori per chiedere un rinvio del provvedimento
non mi hanno convinto affatto — ha spiegato Lulli —. Anzi, mi hanno convinto
del contrario». E la sua decisione ha raccolto subito i consensi sia della
maggioranza sia del centrodestra, oltre che delle associazioni dei
consumatori. Dall'opposizione, solo il deputato di Forza Italia Benedetto
Della Vedova ha parlato di un atteggiamento «dirigista». «La maggioranza
approvi il mio emendamento per l'abolizione della tassa di concessione sulla
telefonia mobile — ha esortato —. E' questa la vera causa della bolla sulle
ricariche». Dal 5 marzo, dunque, scompare quella che è un'autentica
anomalia italiana nel panorama europeo. Tanto che a sollecitare per prima
l'abolizione dei costi di ricarica era stata proprio la Commissione di
Bruxelles. Resta ora da vedere come risponderanno gli operatori. Non a caso
ieri alcuni parlamentari hanno chiesto al governo di «vigilare» per evitare
improvvisi rincari delle tariffe telefoniche.
